EREDITA’

La luce del pomeriggio rifletteva sull’acqua, su entrambe le rive i corridori amatoriali respiravano affannati, gli occhiali da sole tramutavano l’aspetto da resa in ostentata arroganza. Leo e sua sorella Rossana pranzavano su un’imbarcazione che navigava lungo il fiume. Vivevano in città fin da piccoli ma non erano mai saliti su uno di quei ristoranti galleggianti da turisti. “È buono!” disse Leo, ammirando il purè da sotto gli occhiali fini da ragioniere. In realtà, nonostante gli occhiali, e la camicia bianca e anonima -per non parlare del fisico minuto- la sua carriera era tutt’altro che modesta; si era fatto notare per le propensioni nel campo della finanza e aveva scalato la gerarchia di una banca, fino a staccarsene e diventare consulente d’investimento per società e persone tra le più facoltose del paese.

Rossana bevve un sorso d’acqua; i capelli le scendevano leggermente crespi fino alle spalle. Aveva rughe ben segnate. “Hai visto che non è male”. Manteneva un’espressione arrendevole, un’incrinatura triste. Infilzò un pezzetto minuscolo di melanzana e lo mise in bocca con estrema calma. Guardò la riva destra, dove si apriva un piccolo parco verde, i corridori si alternavano agli schiamazzi dei bambini e delle madri, i cui tentativi di mantenere l’ordine risultavano, da quella distanza, teatrali, eccessivi e fallimentari. “…Dovresti dare più fiducia, in generale. Te l’ho detto. Questo è un esempio”. Il sole illuminò una porzione più spessa di parquet. La brezza smise di soffiare. Leo si massaggiò gli occhi, sbuffando, poi prese il tovagliolo e si pulì meccanicamente le labbra come un per scacciare via la tensione. Riprese in mano la forchetta, disse: “Ancora?”. “Ancora e ancora, sì. Fino a che non crepo. Non ti perdonerò mai”. La voce di Rossana era sicura e precisa. Il tono non lasciava dubbi a eccessi emotivi. “Per questo mi hai invitato qui? Cristo Santo, non ci si può neanche alzare e andarsene”. Gli occhi di Leo divennero acuminati. Rossana sorrise di sincerità. “Ti ho invitato perché avevo voglia di vedere mio fratello. Sai com’è, pensavo che il funerale di papà fosse già una buona occasione, ma aspetta…cosa avevi da fare? Una riunione? O no. Chiudere un affare? Eri fuori città?”. Leo si inserì su quello che riteneva il solito sproloquio dettato dal sentimentalismo della sorella. “Ero fuori città, esatto. Un appuntamento fissato da mesi a Londra. Uno dei clienti più grossi di sempre”. Rossana tese le labbra verso il basso, recitando uno stupore fasullo; “Uau” sussurrò. “Non puoi capire, mi dispiace. L’importanza è…era importante più di qualsiasi…”. “Stai zitto, per favore”. Leo fece no con la testa, soffiò fuori l’aria e prese un gran boccone di spezzatino. Rossana bevve un altro sorso d’acqua. “In ospedale non ha fatto altro che raccontare di te. A chiunque: alle infermiere, ai dottori, ai compagni di stanza. Mio figlio Leo è riuscito a fare questo, è riuscito a fare quello…”. Leo schioccò le labbra dopo aver deglutito. “Tu lo sai che parlava di me quando c’eri tu, e parlava di te quando eri assente. Ha sempre fatto così. Complimenti a tutti! È sempre stato un mezzo cialtrone”. Disse cialtrone come fosse un grumo di saliva da sputare. Una nuvola coprì il sole per un paio di secondi. La sirena di un’altra nave, il traffico ingolfato sul ponte e le forchette tintinnanti di una giocane coppia due tavoli più in là. Rossana tenne gli occhi fissi sul viso arrossato d’agitazione del fratello. “Era…era una brava persona”. “Anche quando ha aperto il negozio di occhiali da sole era una brava persona? Quando gli era stato detto che non c’era nessuna -assolutamente nessuna possibilità- di poter rientrare delle spese? Non so come tu non sia mai riuscita a cambiare idea”. Rossana si mise la mano a coppa davanti alla bocca. Gli occhi si persero per un attimo sulla riva del fiume. Pensò a quanto le mancasse non avere certi tipi di pensieri, poi l’attenzione tornò al fratello. “Ha sempre sperato. Tu lo consideri un difetto, io un pregio”. “E consideri un pregio anche i debiti che ho dovuto ripagare?”. “Abbiamo dovuto ripagare. Non mi pare di essere rimasta con le mani in mano”. Il respiro di Leo suonò infastidito. Riprese a mangiare e il colorito del viso si attenuò.

I piatti vennero sostituiti da un paio di caffè e dal contenitore grigio dello zucchero. Solo Leo prese una bustina di zucchero di canna, la sbatté e la strappò ad un angolo. Attorno si alzò un leggero odore di pesce. “Non lo hai sempre odiato. Ti ricordi quando ci ha portati in vacanza con il furgoncino dell’azienda?”. Rossana aveva solo voglia di parlarne, e Leo, dopo un primo attimo di nervosismo che gli aveva stretto il cuore, rilassò le braccia e aprì le labbra per dire di sì, finendo per annuire solo con il capo. Si fece forza e pensò a quel periodo felice in cui il dramma principale era l’eiaculazione precoce; in cui la stima per suo padre era ancora viva e rigogliosa. “Eravamo tutti e quattro. Io, te, lui e la mamma”. “Abbiamo fatto su e già per la costa. Una volta ci ha fermato la polizia e papà…”. Rossana si mise a ridere. “Papà ha invitato i poliziotti a cena!”. “…E sono venuti!”. Anche Leo rideva divertito. Si tolse gli occhiali e bevve il caffè in un sorso. Calò il silenzio; in lontananza una pallina da tennis venne colpita da una racchetta. L’odore ora era di acqua stantia.

Leo si sistemò sulla sedia, si massaggiò la bocca con il palmo della mano. “Dopo che è morta mamma, lui ha voluto…come dire…non mi ha lasciato soffrire”. “Non voleva che tu soffrissi. Voleva vederti andare avanti”. “Credo che ci siano momenti in cui è giusto soffrire. In cui è sano! Lui quel momento me lo ha tolto”. Rossana cercava segnali segreti sui fondi amari del caffè. “E’ sempre stato questo il problema, sai? Passino i fallimenti. Il negozio di occhiali e il lavasecco. Anche se…ma non parliamo di soldi, ok? Facciamo finta che non esistano”. Rossana annuì lenta, ora sondava le parole soppesate del fratello. “Non sapeva gestire la sofferenza. I momenti difficili. Schivava ogni maledetta difficoltà e sai perché? Perché è sempre stato un bambino. E…”. Avrebbe voluto aggiungere qualcosa ma non gli vennero altre parole. Rossana si diede una passata ai capelli, riprese in mano la tazzina come fosse un giocattolo. Disse: “Mi ha sempre fatto sentire come se l’indomani potesse essere migliore. Penso mi abbia insegnato la gioia di vivere”. Sapeva che le parole potevano suonare mielose, quindi fissò con uno sguardo di sfida il fratello. Qualsiasi commento, qualsiasi gesto di scherno, sarebbe stato, se non punito, perlomeno combattuto. Leo strinse le labbra, masticò una turbolenza d’ emozioni. Si rimise gli occhiali. Rispose serio: “A me non ha mai insegnato ad affrontare il peggio, e il peggio lo ho…lo abbiamo vissuto. Quando mamma è stata male. Non lo perdonerò mai per questo. E se tu non mi perdonerai mai perché non sono venuto al funerale…mi dispiace. Ma lo accetto”. L’imbarcazione vibrò, stava cominciando la manovra d’attracco lungo la riva, dove un capannello di turisti -ognuno con la propria tipologia di cappello in testa- aspettava il turno di salita.

Risalirono l’argine dalla scalinata, imboccarono il marciapiede dove si stendeva una lunga fila di macchine parcheggiate. Il sole era ancora alto, rifletteva i raggi sui palazzi al lato opposto della strada. Riprese a tirare un’arietta piacevole. La macchina di Leo rispose al richiamo d’apertura del telecomando. Rossana teneva tra le braccia un golf azzurro. Sorrise come una matta presa una rivelazione, poi disse: “Credo di poterti perdonare, sai”. Leo si accigliò, poi aguzzò gli occhi: immaginò ci fosse altro da aggiungere. “Credo…sì, di poterlo fare. Mi sono sbagliata. Tutto qui”. “E lo fai?”. Rossana fissò il fratello. Gli voleva bene. Gli diede un bacio sulla guancia ben rasata. “Sì” rispose. Leo rimase interdetto per qualche secondo. Gonfiò la bocca. “Beh…grazie”. Guardò il cellulare. “Ora devo proprio andare. Ah, grazie anche per il pranzo”. “Figurati. Paga chi invita: me lo hai insegnato tu”. Leo rise, diede un secondo bacio alla sorella e salì in macchina.

Rossana continuò la passeggiata. Di tutte le lezioni volontarie o involontarie del padre, aveva sicuramente appreso quella del perdono: come lui, sul letto d’ospedale, aveva pensato e chiacchierato sereno del figlio nonostante le incomprensioni, anche lei avrebbe accettato del fratello ciò che poteva in minima parte capire e mai condividere. Un isolotto fitto di arbusti e con una costruzione storica al centro si ergeva in mezzo al fiume. C’erano i soliti corridori sfiancati e fiduciosi sulla riva. Pensò a quanto le sarebbe mancato il padre. E poi all’indomani.