QUEL LATO TARLATO

“In una città come Londra ci sono sempre un sacco di pazzi non ufficialmente accertati che vagano per le strade e tendono a gravitare intorno alle librerie, rari posti in cui si può perdere tempo a ciondolare senza spendere un quattrino. Alla fine le persone di quel tipo le riconosci al volo. Nonostante i grandi discorsi, c’è in loro qualcosa di tarlato e inconcludente.” G. Orwell

E non solo in una città come Londra, aggiungo io. Di tarlati con questa terribile abitudine, come me, ne conosco tanti anche in una piccola città di provincia come Treviso.

Il mio rapporto con le librerie nasce grazie ai miei genitori, a mia madre in particolare; mi portava in questo grande edificio, più simile ad un magazzino che ad un negozio, arredato con alti scaffali messi vicini gli uni agli altri così da creare degli stretti corridoi, molti scuri nella mia memoria di bambino, in cui potevo nascondermi, perdermi, osservare e curiosare tra le persone o i libri stessi. Mia madre, appena entrata, ordinava quello che le serviva, solitamente testi scolastici per lei, me e i miei fratelli e, poi, si divideva tra lo sfogliare qualche testo e il cercarmi sotto i primi ripiani. Non so neanche se questo ricordo sia effettivamente reale o frutto di un insieme di esperienze mescolate, in parte vissute, in parte viste ed in parte inventate. Fatto sta che è la prima immagine sfuocata di me all’interno di una libreria che la mente riesce a produrre.

I ricordi successivi sono reali e sono i miei primi veri approcci all’oggetto libro. Ero interessato agli illustrati per ragazzi perché ogni foglio, con tante immagini e poche parole, era una scoperta che accoglievo con stupore e meraviglia: i dinosauri che avevano vissuto in questo mondo, i mammiferi che popolavano la savana, le spade e le armature che erano state forgiate nel Medioevo. E, grazie a quelle nuove informazioni, non solo imparavo a godermi il momento all’interno della libreria ma arricchivo il mio mondo, all’epoca fatto per lo più di recite improvvisate; una volta tornato a casa, cominciavo a fare finta di essere un tirannosauro, un leone o un cavaliere senza paura.

Aumentata la capacità di lettura, il mio interesse si spostava lentamente ma inesorabilmente verso i libri che, con le parole, mi raccontavano una storia, magari semplice, lineare e senza fronzoli. D’altronde, dovevo mettere alla prova le mie nuove doti. Non che le illustrazioni avessero perso d’importanza; in realtà, la scelta di un libro era dettata dalla copertina. Doveva nascere una sorta di feeling con l’immagine, quella stessa empatia leggera, appena percepita, che provo oggi con un titolo o una breve trama.  Ricordo ancora oggi il buffo mostriciattolo Inkiostrik che lecca una macchia di inchiostro sulla pagina di copertina del “Battello a vapore” blu letto almeno una decina di volte.

Negli anni successivi, per essere precisi quelli delle scuole medie e i primi di scuola superiore, avevo perso interesse per determinati tipi di attività, complici il calcio, le ragazze, il cinema e la musica. Ovviamente continuavo a leggere, ma esclusivamente i testi consigliati dai professori per l’estate e per le vacanze di Natale. E, ovviamente, Harry Potter.

Intanto, senza davvero accorgermene, la mia idea di libreria era cambiata: non era più quel polveroso e buio magazzino, imponente e confuso, ma un negozio nel centro città, illuminato e con le vetrine sempre piene di copie di best seller ben ordinati. Durante l’università, ero tornato a frequentarle con una certa costanza, ma anche con una certa superficialità. A vent’anni ero convinto di sapere tutto del mondo e che niente potesse davvero sorprendermi. Una convinzione, più che sbagliata, triste.

Una volta laureato, il mio modo di vivere questo luogo si era modificato nuovamente. I miei studi per il cinema, il teatro e i mezzi di comunicazione (cazzate, niente di serio) mi avevano appassionato e, terminati, mi ero reso conto di quanto poco sapevo non solo del mondo, ma anche delle stesse materie di cui mi professavo esperto. Ero tornato a sfogliare le pagine per il piacere della scoperta; solo che al posto dei dinosauri e dei cavalieri, c’erano registi, biografie, titoli, metodi e pensieri. Cercavo, tra gli scaffali, qualche nozione da poter portare all’esterno, da poter fare mia nella vita. Forse cercavo un insegnante per un’ultima volta.

Il caso aveva voluto, e forse non solamente il caso, che cominciassi a lavorare in una libreria. A ventisette anni, da cliente mi ero trasformato in lavoratore; grazie a questo cambiamento, avevo notato ciò che prima non vedevo mai. La quantità incredibili di libri di ricette di tutti i tipi, dalla cucina vegana a quella etnica, i libri rosa e i gialli a buon mercato, gli illustrati per ragazzi, tornati davanti ai miei occhi dopo anni, i libri per curare la tristezza e quelli per smettere di fumare, i libri per fare soldi e quelli per vivere senza; tanti mondi, tante storie che stavano lì, vicine, vive e sconosciute. Come quando passeggio per le strade di una qualsiasi città e le persone attorno fanno lo stesso, perse, come me, nei loro pensieri.

Oggi vado in libreria appena posso, quando ho un momento libero, per sentirmi meno solo, credo. Non che non abbia una vita sociale soddisfacente; come tutti, ho aspetti che vanno bene e altri che potrebbero andare meglio ma, tutto sommato, non posso lamentarmi. La verità è che, semplicemente, non mi basta. E, allora, trovo nella libreria quel luogo adatto in cui potermi rivedere o in cui potermi mettere in discussione, in qualche riga di un romanzo o di un saggio. In cui poter riflettere, discutere, esprimere opinioni e giungere a conclusioni inaspettate e nuove.

Perché la libreria è un luogo di consumo in cui non serve davvero consumare; potrei uscire senza aver comprato niente ed essere appagato comunque. Non è l’acquisto la parte interessante di quest’esperienza ma curiosare tra le opzioni, toccare, sfogliare, guardare l’impaginazione, farci emozionare da qualche riga, scegliere, prendere il libro in mano, riposarlo al suo posto e ripartire da capo. La lettura dentro una libreria rappresenta quel lato affascinante di questo mondo che non muore mai, come le All Star Converse, i Levi’s 501 e Elvis, che adesso è a Copacabana a cantare a una bella signora “Can’t help falling in love”.

E, tra i molti obiettivi che mi sono messo in testa di raggiungere della vita, vivere quell’intimo ed  inconcludente momento mi rende felice, sereno. Vivo, in mezzo a mille sconosciuti che ho voglia di conoscere.