DOVREMMO ESSERCI

Lorenzo conobbe Maddalena alla fermata dell’autobus. C’era il solito ammasso di studenti di fine mattinata, i corpi scattanti e i visi segnati dall’acne invadevano buona parte della carreggiata. Il calore dell’una e mezza alzava nell’aria l’odore del traffico bloccato ai semafori. Le prime a parlare con Maddalena furono Gaia e Giulia. Nonostante fossero in sezioni diverse, si conoscevano. E nonostante Lorenzo fosse nella stessa sezione di Gaia e Giulia, come poteva non sapere chi fosse Maddi Sabatini? Occhi azzurri, ricci mori e lunghi appena sopra un sedere da acquolina in bocca e seno da sbavatura della già presente acquolina in bocca. Il piccolo capannello si era composto sotto lo spinoso argomento del compito di matematica. La classe di Lorenzo lo aveva in programma l’indomani e la classe della Maddi lo aveva già affrontato due giorni prima. “La Corinzi è proprio una maledetta stronza. Ti da gli esercizi più stronzi”. “Questo è più fattibile del solito, però. Ve lo assicuro”. Lorenzo non aveva spiaccicato ancora parola. Un po’ perché il profumo di Maddalena, una mistura invadente e dolciastra, lo metteva in confusione e un po’ perché in matematica se la cavava.

“Ciao!” esordì Maddalena guardandolo dritto in faccia. Lorenzo aveva da poco cambiato taglio; da una criniera fino alle spalle era passato ad un ciuffo di capelli ondulato sulla destra. Cercò di infilare gli occhi sotto il ciuffo. “Ciao” rispose con la voce in diminuendo: se fosse sembrato un duro -uno che nasconde la ribellione nei silenzi- avrebbe evitato la tanto temuta quanto vera etichetta del timido. “Stai bene adesso” aggiunse lei, rispondendo, forse per contrappeso, con uno slancio d’entusiasmo. Lorenzo pensò a fin troppe cose in quei tre secondi. Pensò che, se si era accorta del cambiamento, almeno di vista lo conosceva. Pensò anche che se lo conosceva di vista, questo poteva non avere significati nascosti: a scuola le facce erano note. Pensò che aveva azzeccato il taglio, e gli si gonfiò leggermente il petto d’orgoglio, anche se sotto la felpa abbondante non si era notato. Infine pensò a cosa rispondere e si ritrovò con la mente vuota, la stessa sensazione dell’impreparato al patibolo dell’interrogazione. Sussurrò un “Grazie” titubante. Gaia e Giulia si godettero la scena, i commenti frullavano dagli occhi. Maddalena lanciò un sorriso, mantenne un pizzico d’entusiasmo e squadrò dall’alto al basso Lorenzo. “Ora potresti provare una giacca al posto della felpa…E dovremmo esserci!”. La fissò, affilando lo sguardo dalla confusione. Dovremmo esserci per cosa? si domandò Lorenzo. Restò ammutolito, mosse la testa per dire sì e no e mah insieme. Giacche? Che giacche? “Vado!”. L’autobus numero 6 accostò e aprì le tre porte. Gli studenti scesero e salirono come la sabbia di una clessidra. Maddalena diede i baci di commiato, e Lorenzo si infuocò alle guance. Gaia seguì Maddalena. Rimase Giulia, a fissarlo per poi scoppiare a ridere. “Perché ridi?” chiese Lorenzo, cercando di mantenere gli occhi sotto il ciuffo. “Perché…sei proprio scarso a nascondino”.

“Mamma!”. Lorenzo corse al primo piano, mollò lo zaino in camera, tornò al piano terra. Sua madre era in cucina, la pentola fumosa sui fornelli, la tavola apparecchiata con i soliti due piatti: il padre presenziava solo a cena. “Oggi mangiamo pasta con…”. “Mamma.” “Cosa?”. “Ho bisogno di giacche”. “Di cosa?”. “Giacche”. “In che senso…giacche? Che giacche?”. Lorenzo lasciò defluire l’eccitazione e si sedette al suo posto. “Sono un uomo, ormai”. La madre di Lorenzo aggrottò le sopracciglia, si asciugò le mani sul canovaccio appeso alla sinistra del frigo. “Due settimane fa eri uno skater, e abbiamo comprato quattro felpe per l’autunno. Adesso sei un uomo e ti servono delle giacche?”. Lorenzo recitò un atteggiamento riflessivo, da pensatore di massima stirpe. Mentre la madre scolava i fusilli, azzardò il compromesso. “Intanto una giacca. Credo possa bastare”. “In fondo sei ancora un uomo piuttosto giovane”. Lorenzo annuì tenendo strette le labbra. Sua madre aveva ragione. “Quindi cosa si mangia?”.

Il sabato successivo sarebbero andati a fare compere. “Ci vuole anche il consiglio di tuo papà. Lui dovrebbe essere uomo da un po’ più tempo” aveva detto la madre.

Lorenzo trovò quindi la pace del vincitore. Quel pomeriggio decise di non studiare –tanto non aveva interrogazioni imminenti e in matematica si considerava preparato. Optò per sfogare i sogni ad occhi aperti – di lui in giacca e Maddalena che gli sussurrava estasiata “Ci siamo!” – sulle ruote dello skate. Fuori dal complesso di casette a due piani c’era un lungo parcheggio dove Lorenzo sistemava tre coni rossi da strada e una piccola rampa di legno amatoriale. Il cielo era mite e grigio. Si mise a schivare i coni e a saltare dalla rampa; si immergeva nella fantasia di un bacio con Maddalena, solcando il gelo dell’aria contraria.

Sciolti i muscoli e accontentata la sete di fantasiosi successi futuri, Lorenzo concetrò l’attenzione sulla rampa. Si diede due forti spinte con la gamba destra, abbassò leggermente il baricentro. Eccolo: lo stacco dalle sicurezze dell’asfalto sotto le rotelle. Avrebbe dovuto far scivolare il piede anteriore verso l’esterno destro, per garantire rotazione alla tavola e eseguire il famigerato kickflip, ma, come gli capitava ogni volta, non imprimeva abbastanza forza nello scivolamento, e la tavola o rimaneva stabile come un semplice pezzo di legno, oppure sembrava fermare il moto d’inerzia, lasciando avanzare il solo corpo di Lorenzo, che cadeva sui propri piedi. Calò il buio, si accesero i lampioni della strada. Suo padre era in arrivo, aveva urlato la madre dal portoncino. Lorenzo, skateboard sotto il braccio, rientrò in casa. La giornata contava due baci sulla guancia di Maddalena, la promessa di una giacca e l’ennesimo kickflip fallito.

Sarebbe potuta andare peggio, no?

Si comprò una giacca nera, leggermente sfiancata su suggerimento della commessa. Il padre aveva commentato: “Guarda che ometto!”, aggiustandogli la manica all’altezza delle spalle e dei polsi. Lorenzo si guardò allo specchio del camerino. Ecco il tuo uomo, Maddi, pensò. Forse il torace era gracilino, e i mezzi peli che sbucavano sul viso come erba sotto la neve e si mischiavano ai punti neri e rossi e gialli non lo aiutavano nel quadro generale della questione uomo-ometto, ma a lui importava solo che Maddalena avesse detto dovremmo esserci. E le istruzioni per esserci le aveva eseguite.

Si presentò a scuola con il nuovo acquisto e i primi a vederlo nel cortile condiviso, i suoi amici e compagni di tavola Andrea e Luca, lo presero in giro. “Cosa cazzo hai addosso?”. “Stai diventando come quegli stronzi di quinta C?”. Odiavano il gruppetto più grande di tre anni che conquistava le attenzioni e gli ormoni di tutte le ragazze della scuola. “Oh, che coglioni che siete”. Non aveva rivelato l’incontro con Maddalena: sapeva che avrebbe generato delle aspettative, e già avere come spettatrici Giulia e Gaia era stato imbarazzante e quasi insopportabile. “Che cazzo succede? Hai un appuntamento a Wall Street?”. Luca rise della battuta di Andrea. Lorenzo cercava con gli occhi il fedele rifugio della frangia. “E’ questione di essere uomo”. La battuta involontaria generò delle risate ancora più fragorose.

Lorenzo di solito passava la ricreazione al fianco delle macchinette automatiche. Dopo aver preso la loro merenda preferita (Lorenzo un Twix, Andrea un sacchetto di patatine San Carlo, Luca due pacchetti di cracker Doria, il tutto bagnato da tre lattine di Coca Cola) i tre si mettevano a discutere di qualche nuovo skater o di parti dello skater da sostituire, o di nuovi pantaloni da skater da indossare.

Ma quel giorno, in quella mise che aveva conquistato forse la stima o forse la finta stima e lo sincero scherno dei suoi compagni di classe e di un solo professore (gli altri non si erano espressi), non rimase in corridoio e se ne uscì nel giardino della scuola. Lasciò dietro di sé il vociare amplificato dalle alte pareti e si ritrovò in uno spazio verde, diviso a metà da un vialetto asfaltato e chiuso sulla destra dall’edificio marroncino in cui si trovava la palestra, dove i capannelli di ragazzi più grandi fumavano e facevano sfoggio delle loro nuove giacche. Cercò con gli occhi Maddalena. Avanzò con addosso il disagio di un nano in mezzo ai giganti. Dopo quattro mire andate a vuoto, riuscì a intravederla in preda ad attacchi di riso tra Matteo Colussi e Gianluca Zottin, entrambi giovani talenti del rugby, entrambi delle dimensioni dell’armadio che Lorenzo aveva in camera, entrambi considerati sex symbol della scuola.

Si mise a camminare verso di lei, l’intenzione era quella di farsi notare. Non certo di unirsi alla compagnia. La prima volta passò oltre, concentrandosi sull’ipotetica meta della passeggiata, ovvero un cestino arrugginito dietro uno dei cespugli che separavano il cortile dal portico della palestra. Lanciò due occhiate a Maddalena, ma lei, la sigaretta quasi consumata sulla mano destra, era troppo concentrata sulle parole di Matteo. Lorenzo raggiunse il cestino, si frugò nelle tasche, buttò via una cartaccia. Tentò di riprendere il viaggio di ritorno ma pensò che aveva solo un’altra possibilità. Non voleva stazionare nel giardino scolastico ancora molto. E non voleva stazionarci, passando da un cestino ad un altro come un matto: anche se nessuno lo badava, Lorenzo aveva la terribile sensazione di essere osservato da tutti. Cincischiò qualche minuto, si slacciò e allacciò le scarpe, si spolverò i jeans. Si schiuse e si chiuse la giacca. Ripartì. Questa volta tenne gli occhi fissi su Maddalena. Aveva la felpa legata al bacino, i capelli raccolti in una coda alta che si allargava come un manto. Guardami, guardami, pensò Lorenzo, e, come se lo avesse sentito, Maddalena spense la sigaretta sulla muretta e, alzando lo sguardo, lo vide. Lorenzo la salutò con un rapido movimento della mano e lei…non fece niente. Torno con l’attenzione al viso, alle parole e al gesticolare di Matteo.

Lorenzo, mentre imboccava il vialetto verso il portone, pensò che forse aveva fatto finta di non vederlo. Ma non credeva Maddalena capace di tanto. Sì, era una delle ragazze più belle della scuola, e sì, frequentava delle compagnie di rinomati snob, ma era anche spontanea e alla mano…Una ragazza vera! Lorenzo pensò che fosse semplicemente focalizzata sulla discussione che stava avendo. Rientrò in classe senza darsi per vinto, evitando le zone del corridoio che usava bazzicare con Luca e Andrea. Non aveva voglia di affrontare le loro domande su dove fosse finito.

Ci vollero altri tre giorni perché si ritrovasse di fronte a Maddalena. Sempre alla fermata del bus, in compagnia della sua giacca e di Gaia e Giulia. Lorenzo pensava che i complimenti sul suo nuovo indumento sarebbe esplosi in un accorato entusiasmo, ma, proprio all’ultima ora era stati riconsegnati i compiti di matematica, e Gaia aveva preso una brutta insufficienza, e allora la concentrazione era tutta sul lenirle la tristezza e le lacrime e l’ansia perché la cosa avrebbe comportato un brutto rimprovero da parte del padre, anche lui professore di matematica. La smetterà di frignare pensava Lorenzo, cercando nel frattempo di far notare la presenza della sua giacca più di lui. “Come ha fatto a metterti quattro e mezzo con due equazioni svolte?”. “Lo avevo detto che è la più grande maledetta stronza”. “Hai fatto solo le due equazioni trigonometriche?”. Eh, sì: il termine trigonometriche, unito al tono da saputello che aveva adottato senza volerlo, mescolato al sette preso nello stesso compito e alla domanda sibillina – magari solo all’apparenza? – non gli garantì quell’attenzione che avrebbe voluto ottenere. Le tre ragazze lo fissarono come una cimice che non aveva neanche la forza di scaturire ribrezzo. Sorrise a Maddalena, nascondendo gli occhi sotto il ciuffo. Lei mantenne la severità nelle sopracciglia, quindi tornò a consolare Gaia. Per distrarla dalla faccenda, la invitò alla festa organizzata da qualche buon tempone di quinta in un locale della zona. Anche Giulia era invitata. Poi guardò Lorenzo. Gli sorrise, un sorriso che esplodeva di spontaneità e vita, e disse che anche lui poteva venire. La giacca che aveva addosso sarebbe stata perfetta per la serata.

La giacca è perfetta! Mi ha sorriso! La giacca è perfetta! Mi ha sorriso! La giacca è perfetta! Mi ha sorriso! Erano i due avversari che si diedero battaglia fino a dopo pranzo in quel tavolo da ping-pong che era la mente di Lorenzo.

Continuò ad indossare la giacca e a evitare Luca e Andrea. Lo beccarono solo una volta, Andrea gli chiese: “Che cazzo hai?…Ancora quella giacca?”. “Ve lo dico tra un po’”. “Ce lo dici tra un po’ nel senso?”. “…Ce lo dici in ricreazione dopo, intendi?” sottolineò Luca. “Non…scusate, vado in classe. La prossima settimana”. “Sai che sembri un coglioncello vestito così?”. Andrea lo fissava con le stesse sopracciglia di Maddalena; inoltre le labbra, nell’attesa della risposta, erano un cumulo di nervi tesi. Lorenzo si fece rosso dalla rabbia e passò oltre; gli occhi sotto il ciuffo lanciavano dardi incendiari che era meglio nessuno notasse.

Sabato sera. Si fece portare al locale da sua madre. Lottarono per l’ora del ritiro: Lorenzo sperava di stare almeno fino alle due, sua mamma aveva sancito la mezzanotte. Si accordarono per mezzanotte e mezza abbondante.

Sceso dalla macchina, vide in lontananza il cumulo di ragazzi più grandi davanti all’entrata ed ebbe paura. Forse era il caso di scappare. No, no…aveva anche la giacca perfetta! Si fece forza ma, più avanzava, più avrebbe voluto sprofondare sotto l’asfalto della careggiata della strada interna. Pagò l’ingresso. Si fece stretto –nel senso di più stretto di quanto lo era già- e si ritrovò a ridosso della pista, dove qualche personalità conosciuta della scuola gesticolava con un drink in mano con la stessa sicumera di un politico. Lorenzo si guardò attorno – non aveva ancora ricevuto risposta ai messaggi inviati a Gaia e Giulia. Scorse Giulia vicino ad un tavolo, la raggiunse. Si presentò a due ragazzi e a Sofia Longo, 4B, famosa per la faccia da porca. Stette lì in silenzio e a ridere quando lo facevano gli altri. I bassi della musica proveniente dalla console gli permettevano di carpire giusto qualche parola delle varie conversazioni che si intrecciavano tra loro. Poi arrivò Maddalena. Apparve dal nulla, come una creatura fantastica. Un vestito corto blu, e la forma del corpo suggerita, e i capelli liberi. Lo salutò con due baci sulla guancia.

Quando il locale si riempì, la musica si alzò di volume e un’altra personalità della scuola –Renato Gaudino detto Gaudì- iniziò a strillare frasi d’incitamento al ballo. Cominciò a fare caldo, ma Lorenzo non si tolse la giacca. Restò nella zona del tavolo a guardare Maddalena, Gaia e Giulia scatenarsi al ritmo di One More Time. Si immaginò di scendere e iniziare a ballare dietro a Maddalena. Sapeva come funzionava la cosa. Ci si appoggia dietro, dolcemente. Si fa notare la presenza. Se la ragazza sorride, si rimane lì. Ci si muove un po’ come viene – male, di solito- e, in un dato momento, il suo corpo si gira, e pian piano, sempre muovendosi male, si avvicinano le labbra fino a fermare le gambe e a far mulinare le lingue. Lo aveva mai fatto? Avrebbe avuto il coraggio questa sera? La risposta era mai ma voleva crogiolarsi in un forse. Pensò adesso vado almeno quattro volte, restando fermo. Aspettò e aspettò, fino a quando arrivò Matteo Colussi a cingere da dietro il busto di Maddalena. Gaia e Giulia si allontanarono. Lorenzo continuò a guardare la scena, che si svolse con la precisione strutturale di un orologio svizzero. Era arrabbiato con Maddalena solo perché non aveva il coraggio di incolpare sé stesso, l’unico responsabile delle illusioni che aveva creato.

Andò fuori dal locale e aspettò l’arrivo di sua madre. Sperò che nel frattempo qualcuno lo venisse a cercare – almeno Gaia e Giulia – ma non fu così.

La mamma buttò la giacca nei panni sporchi. Lorenzo si gustò il pranzo domenicale, evadendo le domande sulla serata con risposte vaghe. In camera si infilò una felpa, recuperò i coni e la piccola rampa di legno.

Posò lo skateboard a terra, e prima di darsi forza con il piede, Lorenzo immaginò una folla. Immaginò i suoi amici Andrea e Luca sussurrare tra loro “E’ tornato!” e immaginò quello stronzo di Gaudì urlare al pubblico che stava per essere eseguito il più arduo kickflip di sempre. Immaginò Maddalena Sabatini lì, sulla destra, vicino ad una ringhiera, guardarlo e sussurrargli dalle labbra: “Scusa. Ora sono qui per te…”.

Immaginò di essere ammirato per tutto quello che ancora non era.