
Da quando avevano scoperto che i sensori della realtà virtuale causavano cefalee con aura e nei casi peggiori gravi attacchi epilettici, le multinazionali avevano unito le forze per finanziare nuove alternative di dipendenze consumistiche. La HumanDoll, la ditta regina delle implementazioni digitali dei corpi umani, era riuscita nel miracolo di trasferire in analogico le sue competenze: dopo anni di studi e ricerche incrociate tra medici, biologi e disegnatori, avevano ottenuto la fedele riproduzione di un essere umano in carne ed ossa – carne ed ossa e biomateriali di compattamento. Dalla riproduzione di un essere umano alle copie di esseri umani già in vita, il passo fu breve. Si dovettero affrontare delle imponenti questioni legali, un commercio del genere poteva rimescolare chissà quante carte nei comportamenti e nelle attitudini umane. Un esempio: se mai fosse stato acquistato l’avatar di qualcuno con l’obiettivo di assassinare la persona reale e poi sostituirla?
HumanDoll aveva l’obbligo di registrare ogni copia acquistata di essere umano, di notificare all’originale la sua esistenza e il nome dell’acquirente, di garantire attraverso un codice e un UnderSkin sempre in funzione il riconoscimento. Inoltre, negli obblighi dell’acquirente, c’era l’utilizzo esclusivo in ambito privato e, nel caso di mancato utilizzo e/o disinteresse, la totale dismissione tramite i centri di smaltimento dedicati.
Andrea ci aveva pensato molto. Era stato un pensiero simile alla dipendenza da tabacco: non era tanto l’idea di averla disponibile a mandarlo in estasi, quanto rinunciare alla possibilità a gettarlo in uno sconforto infernale.
Si erano lasciati ormai da un anno e tre mesi, lui e Marianna. Aveva provato a riallacciare i rapporti a sette mesi dalla rottura, l’obiettivo era di riconquistarla. Come poteva semplicemente aver smesso di amarlo? Da un giorno all’altro? Si era presentato con un mazzo di fiori vero e l’ologramma di un anello di diamanti – Replica, una azienda partner della HumanDoll, si occupava di riproduzioni d’oggettistica. Il primo perché sapeva quanto Marianna amasse l’autenticità della natura – d’altronde si era laureata al prestigioso indirizzo di Botanica – e il secondo per darle l’impressione di non essere un fallito totale; di poterle garantire qualche piacere materiale. Anche se, garantendole quel piacere materiale, sapeva che avrebbe dovuto accontentarsi di gelatine alle protovitamine per una settimana intera.
“Perché mi fai questi regali?”. Il viso di Marianna si indurì. La mascella, di per sé virile, compiva dei minuscoli movimenti da destra a sinistra.
“Perché…te li meriti, e io…Forse sono stato…Senti…”. Andrea teneva i gomiti poggiati al tavolino, si massaggiava con l’indice il punto d’incontro tra le sopracciglia e il naso, il suo tipico gesto durante un’esposizione guidata dall’imbarazzo. Le disse che aveva sbagliato e che aveva capito; in realtà non aveva la più pallida idea di cosa avesse sbagliato, figuriamoci cosa aveva capito. Marianna si spazientì presto. Riuscì ad ascoltarlo per qualche minuto, poi prese a guardarsi intorno, per risparmiarsi un po’ della pena che cominciava a pungerle il cuore. Il locale era una perfetta riproduzione di una caffetteria della fine del 1900: una postazione salottiera con poltrone e divani, e il bancone di legno a forma di mezzo ottagono e i tavolini alti a garantire capannelli di pigri trampolieri. Era pieno di locali del genere in città, soprattutto nella prima cinta periferica, dove alcuni sostenevano si potesse ancora assaporare qualcosa di vero. La domanda che altri ponevano era se la risurrezione dei tempi andati fosse una legittima pratica del vero.
“Non hai capito niente”. Si diede forza e puntò gli occhi neri – aveva sempre avuto le iridi leggermente più larghe della norma – su Andrea. “Non c’entrano niente i regali. Il problema è come vuoi vivere la nostra relazione. E, se posso, da come ti stai comportando, non hai fatto né riflessioni né…miglioramenti”. “Ma ti prometto che migliorerò!”. Dall’ologramma del jukebox – che imitava in tutto e per tutto il meccanismo, anche se la musica proveniva dall’UnderSkin del proprietario del locale – partì un brano leggendario per l’ambientazione e per due vecchi amanti: Torn di Natalie Imbruglia.
“Non è una cosa che si promette. Si fa e basta. E poi. Voglio essere onesta”. Andrea percepì la pessima aura di quell’onestà. “Non mi interessa. Voglio…Non voglio. Ormai è la mia vita, mi spiego?”.
Non vederla non aveva diminuito il desiderio e, per quanto avvelenato, l’amore. Lo stipendio basso – era addetto alla sorveglianza del grande server centrale cittadino, il mezzo che manteneva attiva la domotica nelle strade – inizialmente aveva sfiduciato Andrea dall’acquisto di un avatar dalle fattezze di Marianna, ma poi, complice una promozione di HumanDoll segnalata dal suo UnderSkin (d’ora in poi abbreviato in US) – una metà via tra una semplice rateizzazione e un mutuo – lo aveva convinto a concedersi lo svizio.
C’era stato solo un appuntamento via US con un consulente di HumanDoll prima dell’acquisto e della consegna. Andrea aveva fornito quante più foto e audio possibili tra i reperti della realtà virtuale (sarebbe stato vietato fornire foto private ma erano praticamente estinte). Il mattino in cui arrivò, in cui il suo cavo-deposito del salotto aveva suonato l’allarme di consegna, Andrea si sentì colto da un improvviso guizzo di gioia alle gambe. Sfilò il pacco e lo porse con fatica e attenzione sul tappeto. Sciolse la guaina protettiva attivando l’applicazione calore dal suo US.
Eccola lì. Distesa su un imballaggio di legno simile ad una tomba, pronta a nascere anziché morire. Marianna. Andrea notò subito gli adesivi rosa sui capezzoli e sulla vagina. Sfiorò la pelle vicino all’ombelico. Era fredda, sì, ma reale. Quella consistenza che ricordava un misto tra un budino e una ceramica. Gli occhi erano aperti. Erano i suoi occhi. Così come la bocca e i capelli. Le spalle erano forse leggermente più magre e il bacino più compatto. Mancava, notò Andrea, un piccolo tris di angiomi rubino sull’inguine. Ma non se la sentiva di lamentarsi. Era di nuovo con lei. O almeno con il corpo di lei. Perché, se la copia fisica poteva essere acquistata senza il consenso della persona direttamente interessata, così non funzionava per i dati da inserire nel suo UnderSkin, che avrebbero permesso all’avatar di ottenere un carattere, una personalità e un’esperienza già costituita.
Andrea poggiò l’avatar sul divano, le si sedette di fianco, e, sempre tramite l’US, l’avviò. La copia di Marianna girò la testa con la naturalezza di un essere vivente. Non ci furono lucette o rumorini. “Ciao”, gli disse, la voce ben conosciuta. Andrea rimase in silenzio ad osservarla. Lei sorrise, un sorriso che non sembrava il primo della sua vita ma, semplicemente, uno dei tanti. “Come vuoi che sia?”. “Com…come, scusa?”. “Non ho dati di memoria. Puoi, se ti va, inserirli, tramite il consenso registrato della persona coinvolta, oppure…beh, puoi dirmi come vuoi che sia. Registrerò tutto nel mio UnderSkin”. Sorrise di nuovo. L’avatar teneva le mani sulle cosce nude in una posizione che si poteva definire neutra. “Ok…io voglio che…”.
Marianna aveva ricevuto la notizia della produzione del suo avatar qualche giorno dopo l’acquisto, e aveva riempito Andrea di messaggi audio carichi di improperi rabbiosi. “…E ti conviene tenerla nascosta nel tuo appartamento. Sei uno stronzo! Dio, se scopro anche solo che l’hanno vista i tuoi vicini, io…ma pensi davvero che possa rimpiazzarmi? Non ti darò mai i dati. Mai! Sei…sei un fallito!”.
“…Voglio che tu sia gentile con me. In ogni frangente. Sempre”.
Ad Andrea sembrò una richiesta patetica ma, allo stesso tempo, necessaria. L’avatar di Marianna lo toccò per la prima volta, una carezza delicata con i polpastrelli delle dita alla guancia. “Con un uomo come te sono sicura che sarà facile”. Osservandola nelle sue grandi iridi nere, Andrea sorrise. Era bellissima, e dolce, come la ricordava ai tempi dell’università, quando si erano conosciuti. “E voglio che tu mi riempia sempre di complimenti”. La richiesta suonava ancora più patetica, ma – vista la perfetta sintonia ai suoi desideri – se ne vergognò meno. “Anche in questo caso, beh…come posso non soddisfare un uomo così bello?”.
Le labbra erano forse un po’ secche. E la lingua aveva una patina leggermente scivolosa. E l’alito sapeva di imballaggio. Andrea pensò che poco importasse: la stava di nuovo baciando. La mano andò a sfiorare i suoi seni, e allora la sua già presente erezione prese vigore. Staccando le labbra, sussurrò: “…E voglio che tu sia eccitata, quando lo sono io”. Allora l’avatar di Marianna allungò la mano sui jeans di lui, sentì il rigonfiamento sotto la patta e fece uscire un: “Oh, sì. Oh, ti prego…Sì…”. Andrea le strappò via gli adesivi con la foga di un animale. Quando finirono, sentì la voce di Marianna dirgli per la prima volta: “Sei stato fantastico”.
La sera aveva finalmente voglia di tornare al suo piccolo appartamento. Insieme all’avatar di Marianna cenava, guardava le serie tv appena uscite, e faceva l’amore. Soprattutto: faceva l’amore. Perché, che garantisse o meno una prestazione adeguata, per Marianna, notte dopo notte, era sempre fantastico.
E la dolcezza di quelle e di altre parole, intonate sulla voce della sua amata, mattina dopo mattina gli davano nuovi stimoli per alzarsi dal letto e andare al lavoro. In qualche mese, Andrea diventò responsabile del settore sicurezza della domotica stradale. Per festeggiare con Marianna, aveva addirittura comprato una bottiglia di vino, che ormai era prodotto in minuscole e riservatissime serre al Polo Nord. La sera dei festeggiamenti, però, dopo il sesso ripetuto e le chiacchiere su quanto fosse stato bravo e in gamba e audace, Andrea si accorse che aveva voglia di uscire con l’avatar di Marianna. Di vivere il suo amore nella pienezza dello spazio e non nella miseria di quattro mura. Questo pensiero si infilò come un sibilo e cominciò ad urlare nella sua mente dopo qualche settimana: le parole dell’avatar, sempre piene di esaltazione e comprensione, cominciavano a suonargli false. Allo stesso tempo, non voleva dare nuove indicazioni: voleva che l’avatar reagisse con coscienza alle inclinazioni del rapporto. Ma, all’avatar, era proprio questo che mancava: una coscienza. Ci pensò qualche giorno, prima di scrivere a lei. Passò sul suo profilo dall’UnderSkin almeno dieci volte, prima di prendere coraggio. Fu un messaggio audio semplice: “Ehi, come stai?”.
Si incontrarono al solito locale che riprendeva i prestorici anni ’90. Il jukebox sparava fuori le cantilene alternate di una boyband. Avevano preso possesso del tavolo più appartato, vicino alla porta del bagno. “Ti vedo…bene”. Marianna lo scrutava con un cenno di curiosità negli occhi, la schiena leggermente ingobbita lasciava intuire un umore leggermente depresso. “Sì, beh…Sai che sono diventato responsabile?”. “Davvero?”. “Sì, mi hanno promosso. E forse adesso, vogliono…Oddio, non so se è il caso di dirlo, ma…Vabbè, forse mi spostano alla sede centrale. Direttore della nuova classe domotica”. Il sorriso di Marianna fu sincero: non tanto diverso da quello del suo avatar, ma nella minuzia della modestia e in alcune increspature della pelle, Andrea sentì finalmente di avere a che fare con la realtà del suo sentimento ancora intatto. “Tu?”. Marianna sbuffò e alzò le spalle, fece un no con la testa. “Sono in crisi con…pensavo fosse un buon piano. Insomma, botanica in questo periodo è come…però ormai i finanziamenti stanno virando. Non ci saranno più piante ornamentali, e per le coltivazioni obbligatorie, beh…si sa che basta forniscano l’ossigeno. Del benessere di una pianta non interessa più niente a nessuno”. “Però interessa a te!”. Marianna mollò un altro sorriso verso Andrea, questa volta leggermente più stanco. “Voglio dire, se è questo che ti interessa, lotta per…mantenerlo in vita”. Marianna aggrottò le sopracciglia, le iridi nere si allargarono ancora di più. “Chi sei diventato?”. Andrea alzò le spalle. “E’ merito della mia copia?”. L’argomento non lo avevano ancora toccato. Andrea le raccontò del rapporto con il suo avatar, e, questa volta senza massaggiarsi il viso con l’indice, confessò quanto – anche se all’inizio era stato molto soddisfacente – gli mancasse lei. Marianna cercò di essere comprensiva – Andrea aveva accennato alla comprensione – e poi parlò dei rapporti fallimentari che aveva avuto negli ultimi tre anni. Un disastro dietro l’altro, caratterizzati da lacrime e profondi pentimenti. Uscirono dal locale che il tramonto veniva tinto di rosso dalla nuova tecnologia d’illuminazione. All’orizzonte si stagliavano i grattacieli del centro, uno dei quali stava aspettando d’incoronare Andrea. “Ti va una passeggiata?”. Annuendo, Marianna lanciò un sorriso quasi entusiasta.
Si erano sposati. Ora abitavano in uno degli appartamenti più alti del centro; nelle mattine buone il panorama regalava un pavimento di bianchi fiocchi di nuvole. Le giornate per Andrea erano fitte di appuntamenti e di impegni. Spesso doveva viaggiare in giro per il mondo, invitato dalle tante amministrazioni. Marianna, grazie al successo di Andrea, instituì un fondo per salvaguardare le piante nei loro habitat, tanto rarefatti da essere ricercati con il lumino. Il loro rapporto era ancora guidato dall’amore, dal quale era scaturito, a un anno dal matrimonio, il loro unico figlio Matrix – i nomi dei figli erano ormai una lotteria liberalizzata delle stravaganze dei genitori.
Andrea era sincero con la moglie. Totalmente? Quasi. C’era solo una bugia che aleggiava nelle ombre dei suoi impegni. Quando Marianna lo vessava, nei periodi più stressanti o impegnativi, quando tendeva a muovere la mascella a destra e sinistra durante le discussioni, Andrea si inventava un viaggio per lavoro della durata di una settimana. Diceva che lo avevano convocato all’Impero Cinese o nella Nuova America del Nord, invece prendeva le valigie e ordinava alla macchina elettrica di recarsi alla discarica della HumanDoll.
Era lì che aveva portato l’avatar di Marianna per la dismissione. Prima di procedere con l’operazione, era stato convocato in un ufficetto buio e stretto, dove lo stesso consulente che lo aveva seguito nell’acquisto, gli aveva presentato un’offerta segreta ai legislatori e ai governi. Continuando a pagare la rata per l’avatar, Andrea aveva la possibilità di mantenerlo in vita in un grande condominio riservato e situato al centro della discarica.
Quindi Andrea lasciava la macchina al portiere, camminava lungo il lastricato lucido, osservando il grande cubo bianco chiazzato da un fitto reticolo di finestre oscurate. Prendeva l’ascensore esterno, che lo portava al corridoio dell’ultimo piano, e si fermava davanti alla porta numero 34. Il suo UnderSkin sbloccava la serratura. L’avatar di Marianna sedeva sul divano. “Ciao amore” diceva sempre Andrea. Marianna gli lanciava un sorriso e replicava: “Amore…sai che oggi sei proprio meraviglioso?”.